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giovedì 7 aprile 2011

Il castagno fra prosa e cucina

Il   Castagno  fra  prosa  e  cucina

Il castagno è una delle più importanti essenze forestali dell'Europa meridionale, in quanto ha riscosso, fin dall'antichità, l'interesse dell'uomo per i molteplici utilizzi.
Oltre all'interesse intrinseco sotto l'aspetto ecologico, questa specie è stata largamente coltivata, fino ad estenderne l'areale, per la produzione del legname e del frutto.
 Quest'ultimo, in passato, ha rappresentato un'importante risorsa alimentare per le popolazioni rurali degli ambienti forestali montani e collinari, in quanto le castagne erano utilizzate soprattutto per la produzione di farina.
L'importanza economica del castagno ha attualmente subito un drastico ridimensionamento: la coltura da frutto è oggi limitata alle varietà di particolare pregio e anche la produzione del legname da opera si è marcatamente ridotta.
Del tutto marginale, infine, è l'utilizzo delle castagne per la produzione della farina, che ha un impiego secondario nell'industria dolciaria.
Si ritiene che buona parte delle superfici forestali a castagno siano derivate da una rinaturalizzazione di antiche coltivazioni abbandonate nel tempo, mentre la coltivazione si è ridotta alle stazioni più favorevoli, dove è possibile ottenere le migliori caratteristiche merceologiche del prodotto, in particolare il legname.                         
Il castagno è una pianta a portamento arboreo, con chioma espansa e rotondeggiante e altezza variabile, secondo le condizioni, dai 10 ai 30 metri.
In condizioni normali sviluppa un grosso fusto colonnare, con corteccia liscia, lucida, di colore grigio-brunastro. La corteccia dei rami è di colore bianco ed è cosparsa di lenticelle trasverse.
Con il passare degli anni, la corteccia si screpola longitudinalmente.
Le foglie sono alterne, provviste di un breve picciolo e, alla base di questo, di due stipole oblunghe.
La lamina è grande, lunga anche fino a 20-22 cm e larga fino a 10 cm, di forma lanceolata, acuminata all'apice e seghettata nel margine, con denti acuti e regolarmente dislocati.
Le foglie giovani sono tomentose, ma a sviluppo completo sono glabre, lucide e di consistenza coriacea.
I fiori sono unisessuali, presenti sulla stessa pianta, i fiori maschili sono riuniti in piccoli glomeruli a loro volta formanti  amenti  eretti, lunghi 5-15 cm, emessi all'ascella delle foglie.
Ogni fiore è di colore biancastro, provvisto di un perigonio suddiviso in 6 lobi e un androceo di 6-15 stami.
I fiori femminili sono isolati o riuniti in gruppi di 2-3.
Ogni gruppo è avvolto da un involucro di brattee detto cupola.
Il frutto è un achenio, comunemente chiamato castagna, con pericarpo di consistenza cuoiosa e di colore marrone, glabro e lucido all'esterno, tomentoso all'interno.
La forma è più o meno globosa, con un lato appiattito, detto pancia, e uno convesso, detto dorso.
Il polo apicale termina in un piccolo prolungamento frangiato, detto torcia, mentre il polo prossimale, detto ilo, si presenta leggermente appiattito e di colore grigiastro.
Sul dorso sono presenti striature più o meno marcate, in particolare nelle varietà del gruppo dei marroni. Questi elementi morfologici sono importanti ai fini del riconoscimento varietale.
Gli acheni sono racchiusi, in numero di 1-3, all'interno di un involucro spinoso, comunemente chiamato riccio, derivato dall'accrescimento della cupola. A maturità, il riccio si apre dividendosi in quattro valve.
Il seme è ricco di amido.
Il castagno è una specie mesofila e moderatamente esigente in umidità.
Sopporta abbastanza bene i freddi invernali, subendo danni solo a temperature inferiori a -25 °C, ma diventa esigente durante la stagione vegetativa.
Per questo motivo il castagno ha una ripresa vegetativa tardiva, con schiusura delle gemme in tarda primavera e fioritura all'inizio dell'estate.
Al fine di completare il ciclo di fruttificazione, la buona stagione deve durare quasi 4 mesi.
In generale tali condizioni si verificano nel piano submontano delle regioni mediterranee o in bassa collina più a nord. In condizioni di umidità favorevoli può essere coltivato anche nelle stazioni fresche del Lauretum, spingendosi perciò a quote più basse.
Condizioni di moderata siccità estiva determinano un rallentamento dell'attività vegetativa nel mezzo della stagione e una fruttificazione irregolare.
Le nebbie persistenti e la piovosità eccessiva nei mesi di giugno e luglio ostacolano l'impollinazione incidendo negativamente sulla fruttificazione.
Nelle prime fasi tollera un moderato ombreggiamento, fatto, questo, che favorisce una buona rinnovazione nei boschi maturi, ma in fase di produzione manifesta una maggiore eliofilia.
A fronte delle moderate esigenze climatiche, il castagno presenta notevoli esigenze pedologiche, perciò la sua distribuzione è strettamente correlata alla geologia del territorio. Sotto l'aspetto chimico e nutritivo, la specie predilige i terreni ben dotati di potassio e fosforo e di humus.
Le condizioni ottimali si verificano nei terreni neutri o moderatamente acidi; si adatta anche ad un'acidità più spinta, mentre rifugge in genere dai suoli basici, in quanto il calcare è moderatamente tollerato solo nei climi umidi.
Sotto l'aspetto granulometrico predilige i suoli sciolti o tendenzialmente sciolti, mentre non sono tollerati i suoli argillosi o, comunque, facilmente soggetti ai ristagni.
In generale sono preferiti i suoli derivati da rocce vulcaniche (tufi, trachiti, andesiti, ecc.), ma vegeta bene anche nei suoli prettamente silicei derivati da graniti, arenarie quarzose, ecc., purché sufficientemente dotati di humus.
I suoli calcarei sono tollerati solo nelle stazioni più settentrionali, abbastanza piovose, mentre sono mal tollerate le marne.
In Europa, la maggiore estensione si ha nelle regioni occidentali: è diffuso nel centro e nord del Portogallo e nelle regioni settentrionali della Spagna, in gran parte del territorio della Francia, fino ad estendersi nel sud dell'Inghilterra, nel versante tirrenico della penisola italiana e nell'Arco alpino fino ad arrivare alla Slovenia e alla Croazia.
Qui l'areale si interrompe per riprendere dalle regioni meridionali della Bosnia e del Montenegro ed estendersi in gran parte dei territori dell'Albania, della Macedonia e della Grecia. Infine riprende dalle regioni occidentali della Turchia per estendersi a quelle settentrionali, lungo il Mar Nero, fino al Caucaso.
Diffusioni sporadiche si hanno in Germania, in Bulgaria e Romania e nel Nordafrica, nelle regioni dell'Atlante. Nel Mediterraneo, infine, è presente in gran parte del territorio della Corsica, nelle regioni centrali della Sardegna, in quelle settentrionali della Sicilia e, infine, in quelle centrali dell'Isola d'Elba.
In Italiavegeta nella zona fitoclimatica del Castanetum, a cui dà il nome, estendendosi anche nelle zone più fresche del Lauretum, per introduzione da parte dell'uomo.
In genere si ritrova su quote variabili dai 200 metri s.l.m. fino agli 800 m nelle zone alpine, mentre nell'Appennino meridionale può spingersi fino ai 1000-1300 metri.
La distribuzione è frammentata perché legata a particolari condizioni climatiche e geologiche. La maggiore diffusione si ha perciò in tutto il versante tirrenico della penisola, dalla Calabria alla Toscana e alla Liguria, e nel settore occidentale dell'arco alpino piemontese. Nel versante adriatico e nel Triveneto la sua presenza è sporadica e nella Pianura Padana è praticamente assente.
La concentrazione di maggior rilievo si ha in Campania, che contribuisce per circa un terzo all'intera produzione nazionale di castagne.
È dunque una tipica essenza degli ambienti boschivi collinari e di quelli montani di bassa quota.
L'ecosistema forestale tipico del castagno è la foresta decidua temperata mesofila, dove forma associazioni in purezza o miste, affiancandosi alle Quercus (per lo più farnia e roverella), al frassino, al carpino nero, al noce, al nocciolo, ecc. Per le sue caratteristiche è una specie strettamente associata alla roverella, tipica mesofita della foresta mediterranea decidua.
Sul castagno c'è una sostanziale incertezza in merito al suo "indigenato", ovvero alla sua origine, ai processi che ne hanno determinato la sua distribuzione e alla natura delle formazioni forestali in cui è presente.
In passato si riteneva che la specie fosse originaria del bacino sudorientale del Mar Nero (regioni del Ponto e del Caucaso occidentale) e che da qui fu propagato, nel corso dei secoli, dai Greci e dai Romani.
Questa teoria è oggi superata in quanto le indagini dai ritrovamenti di granuli pollinici preistorici fanno ritenere che l'ultima glaciazione (Würm) abbia ridotto sensibilmente l'areale della specie.
L'ipotesi attualmente più accreditata è che il castagno avesse un'ampia distribuzione in Europa nel Cenozoico, ma che nel corso delle glaciazioni pleistoceniche l'areale si sia progressivamente contratto verso sud.
Nel corso dell'ultima glaciazione, la specie si ritirò definitivamente nell'Asia Minore.
La successiva diffusione in tutta l'Europa ebbe inizio con i Greci, fu ampliata dai Romani e proseguì ininterrottamente per tutto il Medio Evo per opera degli ordini monastici.
Lo scopo di questa estensione era la sua duplice funzione, come risorsa amidacea (castagne) e tecnologica (legname da opera).
La crisi del castagno ebbe inizio a partire dal Rinascimento, presumibilmente in concomitanza con il progresso tecnico in agricoltura e con il crescente sviluppo della cerealicoltura.
Da allora e fino all'Ottocento, il castagno subì un lento e progressivo abbandono, nonostante si verificassero espansioni di portata locale che, nel corso dei secoli, fecero variare la distribuzione della castanicoltura, almeno in Italia.
Alla fine dell'Ottocento iniziò il declino vero e proprio della castanicoltura, protraendosi per decenni a causa del concorso di molteplici cause: l'evoluzione delle abitudini alimentari delle popolazioni europee, l'introduzione di materiali alternativi quali il metallo e la plastica nell'allestimento di manufatti e opere infrastrutturali, civili e agricole, la crisi dell'industria del tannino dopo gli anni trenta, il crescente interesse verso altre essenze forestali da legno, alternative al castagno (robinia e ciliegio), la pressione antropica sugli ambienti forestali.
Alla riduzione delle superfici forestate a castagno hanno inoltre contribuito, in modo non trascurabile, le decimazioni causate dalle due più importanti crittogame associate a questa specie, Phytophthora cambivora e, più recentemente, Phytophthora cinnamoni, agenti del mal dell'inchiostro, ed Cryphonectria parasitica, agente del cancro del castagno.
All'azione di questi parassiti si aggiungono anche gli attacchi degli insetti xilofagi, che in genere si sviluppano a spese di piante indebolite da condizioni ambientali non favorevoli.
Nel complesso, la castanicoltura si è fortemente ridimensionata, ed è circoscritta alle aree di maggiore vocazione, sia per le castagne sia per il legno, mentre i castagneti progressivamente abbandonati nel corso dei secoli sono scomparsi o si sono evoluti verso un'associazione boschiva rinaturalizzata.
Il frutto è utilizzato da tempi antichissimi, come si è detto, per la produzione di farine.
Questo impiego ha oggi un'importanza marginale e circoscritta alla produzione di dolci tipici, come il castagnaccio e il Panmorone. Ancora diffusa è invece la destinazione dei frutti di buon pregio al consumo diretto, concentrato nei mesi autunnali, e alla produzione industriale di confetture e marron glacé. Interesse del tutto marginale ha il possibile impiego dei frutti come alimento per gli animali domestici.
La corteccia e il legno del castagno sono ricchi di tannini e possono essere impiegate per la sua estrazione, destinata alle concerie. Questa destinazione d'uso, in Italia, ha riscosso un particolare interesse nei primi decenni del XX secolo, epoca in cui l'industria del tannino nazionale faceva largo impiego del castagno, ma dopo il 1940 ha perso importanza sia per la contrazione di questo settore sia per il ricorso, come materia prima, al legno di scarto.

Il legno di castagno è caratterizzato dalla formazione precoce del durame, perciò presenta un alburno sottile.
Il durame è bruno, mentre l'alburno è grigio chiaro. Strutturalmente è un legno eteroxilo con porosità anulare e tende a sfaldarsi in corrispondenza degli anelli.
Fra i suoi pregi si citano la durevolezza e la resistenza all'umidità, perciò si presta per l'impiego come legno strutturale; la facilità di lavorazione lo rendono adatto ad essere impiegato per la realizzazione di vari manufatti.
È inoltre un legno semiduro, adatto secondariamente anche per lavori di ebanisteria.
La precocità di formazione del durame rende inoltre possibile l'attuazione di turni di ceduazione relativamente brevi, naturalmente in funzione del tipo di assortimento mercantile richiesto.
La densità è dell'ordine di 1 t/m3 nel legno fresco e di 0,58 t/m3 per quello stagionato.
Il legno lavorato presenta tonalità variabili dal giallo al rossastro, venature sottili e una spiccata nodosità.
Per le sue caratteristiche tecnologiche, il castagno è stato tradizionalmente usato per molteplici impieghi e la realizzazione di travi, pali, infissi, doghe per botti, cesti e mobili, oltre alla già citata estrazione del tannino.
Attualmente la sua destinazione principale è l'industria del mobile.
Apicoltura
L'apicoltura è un'attività accessoria che può appoggiarsi alla castanicoltura.
Pur avendo impollinazione prevalentemente anemogama, i fiori maschili del castagno sono bottinati dalle api, perciò questa pianta è considerata mellifera.
Il miele di castagno ha una colorazione variabile dall'ambra al bruno scuro, retrogusto amaro, resiste alla cristallizzazione per lungo tempo, è particolarmente ricco di fruttosio e polline.
La sua produzione si localizza naturalmente nelle zone a maggiore vocazione per la castanicoltura e, principalmente, nella fascia submontana fra i 500 e i 1000 metri di altitudine, lungo l'arco alpino, il versante tirrenico della fascia appenninica e nelle zone montane della Sicilia settentrionale.
Erboristeria
L'uso del castagno a scopo medicamentoso è un aspetto marginale, tuttavia questa specie è considerata pianta officinale nella farmacopea popolare: per il contenuto in tannini, la corteccia ha proprietà astringenti, impiegabile in fitocosmesi per il trattamento della pelle. Alle foglie, oltre alle proprietà astringenti, sono attribuite proprietà blandamente antisettiche e sedative della tosse.
Sempre nella farmacopea popolare di alcune regioni, la polpa delle castagne, cotta e setacciata, trova impiego in fitocosmesi per la preparazione di maschere facciali detergenti ed emollienti.
Il castagneto, sia da frutto sia da legno, si governa come ceduo o come fustaia, tuttavia quest'ultimo è meno frequente.
Propagazione
La propagazione del castagno è contestualizzata alla situazione operativa.
Si possono verificare i seguenti casi:
Impianto di un nuovo castagneto
Recupero di un vecchio castagneto
Nel primo caso si ricorre alla propagazione per seme, seguita dall'innesto, che in genere si applica solo per i castagneti da frutto. Nel secondo caso si ricorre alla propagazione vegetativa con la ceduazione, sfruttando l'attitudine pollonifera del castagno, oppure alla propagazione mista, basata sulla matricinatura.
La propagazione per seme si effettua impiegando il materiale da popolazioni di selvatici.
Le castagne vengono eventualmente stratificate, al fine di prevenire la pregerminazione, e seminate in primavera.
La semina si effettua in vivaio, in semenzaio, in vaso o in fitocella, oppure direttamente in campo.
La semina diretta offre la minore percentuale di fallanze, mentre il trapianto è aleatorio soprattutto con semina in semenzaio.
Del tutto sconsigliato è il trapianto dei cosiddetti selvaggioni, ossia dei semenzali nati dalla rinnovazione naturale estirpati dalla loro sede in quando si ottiene una percentuale molto alta di fallanze
La semina diretta si effettua disponendo le castagne in numero di 2-3 in ogni buca.
La densità di semina o di impianto, secondo la tecnica, è dell'ordine di 4-5 q di seme ad ettaro e di 2000 piantine ad ettaro.
L'innesto è una pratica indispensabile per il castagno da frutto, necessaria per ottenere le varietà desiderate.
L'innesto si pratica sui semenzali oppure sui polloni emessi con la ceduazione.
Gli innesti a marza si praticano con marze di 1-2 anni di età e si differenziano in varie tipologie in base al rapporto di età fra portinnesto e marza: sui polloni di 3-5 anni di età si effettua in genere l'innesto a spacco diametrale, inserendo due marze agli estremi del taglio, oppure quello a corona, inserendo 2 o 3 marze in fenditure praticate sulla corteccia del portinnesto capitozzato.
Su polloni o su semenzali di 1-2 anni si pratica invece l'innesto a spacco pieno; in questo caso, infatti, marza e portinnesto hanno pressoché lo stesso diametro.
I migliori risultati si ottengono con l'innesto a spacco pieno.
L'innesto a gemma si pratica invece con la tipologia a zufolo o ad anello su semenzali o polloni di 1-2 età.
Fornisce buoni risultati ma presenta più vincoli in merito al periodo utile.
Gli innesti si praticano alla fine del periodo di riposo, prima della ripresa vegetativa.
Per gli innesti a corona e quelli a gemma è necessario che le piante siano in succhio.
Con questo termine si indica quella fase, immediatamente precedente la ripresa vegetativa, durante la quale il cambio è già entrato in attività, favorendo il distacco della corteccia dal legno.
Il ceduo è attualmente la forma più comune di governo dei castagneti.
Dato lo scopo principale che aveva il ceduo di castagno, destinato alla produzione di assortimenti da trasformare in pali per l'elettrificazione e per usi agricoli, è indicato spesso con il termine di palina di castagno.
Nei nuovi impianti si avvia tagliando le piantine dopo 2 o 3 anni mentre nei vecchi castagneti abbandonati si tagliano a raso le ceppaie.
In entrambi i casi vengono emessi i polloni, sui quali si praticherà l'innesto 1 o più anni dopo.
Il ceduo semplice si governa tagliando a raso al termine del turno tutte le ceppaie.
Questa pratica è consentita negli impianti artificiali, mentre nei boschi i regolamenti ammettono la matricinatura.
Nel ceduo matricinato si lasciano, ad ogni taglio, un certo numero di piante, dette matricine, il cui compito è quello di consentire la rinnovazione.
Poiché il castagno ha una buona capacità di rinnovazione l'intensità della matricinatura è inferiore a quella ordinaria, riducendosi a 40-60 matricine per ettaro.
Il ceduo disetaneo è praticato tradizionalmente solo in alcune località della Sardegna, della Toscana e del Veneto.
La fustaia differisce dal ceduo per avere una minore densità di piante e un solo fusto per ogni ceppaia. Si ottiene per evoluzione dai cedui, prolungandone il turno e selezionando i fusti che presentano i requisiti. Rappresenta la forma tradizionale di governo dei castagneti da frutto, soprattutto nelle regioni settentrionali, mentre in molte zone dell'Italia meridionale ci si orientava verso il ceduo da frutto.
Le densità del castagneto, a regime, dipendono dal tipo di governo e dalle condizioni di fertilità del suolo. Nei cedui si adottano intensità molto variabili, da minimi di 2-300 ceppaie a massimi di oltre 1000 ceppaie, con riferimento all'ettaro di superficie.
 Nelle fustaie si hanno invece densità dell'ordine di 100-200 piante ad ettaro.
La durata del turno dipende dall'indirizzo produttivo.
Per i castagneti da frutto si adottano turni piuttosto lunghi, poiché la produzione di regime ha inizio a 30-50 anni dall'innesto.
Per i castagneti da legno si adottano invece turni variabili secondo il tipo di assortimento mercantile richiesto.
In passato si adottavano anche turni piuttosto brevi, dell'ordine di 6 anni.
Questi erano finalizzati a fornire assortimenti per usi che oggi sono di marginale importanza, come ad esempio il legno per intrecci.
Gli orientamenti attuali si attestano su turni di 16-18 anni, in grado di fornire un'alta resa in assortimenti grossi e intermedi, che sono quelli richiesti dal mercato.
In condizioni ottimali di fertilità, come si verifica ad esempio nei suoli di origine vulcanica e ben dotati di sostanza organica, il ceduo di castagno manifesta le migliori prestazioni produttive, con ritmi di incremento della massa legnosa paragonabili a quelli delle essenze esotiche da legno.
L'abbandono definitivo dei pali di castagno, ancora impiegati per le linee elettriche o telefoniche, indirizza la domanda di assortimenti mercantili verso il legname da sega, destinato all'industria del mobile.
Questa evoluzione del mercato richiede assortimenti di diametro e lunghezza adeguati e nel tempo porta all'abbandono della castanicoltura da legno nelle stazioni meno fertili e ad un prolungamento del turno di ceduazione, con una durata ottimale di circa 25 anni.
Per le sue prerogative, in quanto coltivato dall'antichità e secondo consuetudini locali, il castagno vanta un vasto patrimonio genetico costituito da varietà di interesse regionale, ottenute nel corso dei tempi propagando singoli cloni, spesso tipi ascrivibili alla stessa origine genetica hanno denominazioni differenti secondo la località.
Le varietà più pregiate sono quelle atte alla canditura, usate per la produzione del marron glacé, e sono genericamente chiamate Marrone associandone il nome alla località di provenienza.
Contrariamente a quanto si pensa non tutte le varietà a frutto grosso rientrano nel gruppo dei marroni.
Il marrone ha infatti le seguenti caratteristiche:
frutto di grossa pezzatura, in numero di uno per riccio
facilità di sbucciatura del seme;
striatura della buccia;
sterilità dei fiori maschili;
bassa produttività
Marroni.
Altre varietà, non comprese nel gruppo dei marroni, sono di pezzatura grossa e adatte alla canditura: sono tali la Montemarano o Castagna di Avellino, alcune varietà piemontesi (Castagna della Madonna, Marrubia), il marroncino di Melfi e un gruppo di varietà denominate genericamente Garrone.
Le varietà destinate all'essiccazione o all'estrazione di farina sono di importanza marginale e da tutelare per la conservazione del germoplasma in quanto contengono spesso particolari proprietà qualitative o fisiologiche.
Fra le più famose è citata la toscana Carpinese o Montanina, varietà a frutto piccolo adatta alla produzione di farina.
I tipi adatti alla castanicoltura da legno sono stati invece selezionati da vecchie varietà da farina che presentavano particolari requisiti ai fini della selvicoltura: rapido accrescimento, regolarità dei fusti, limitata emissione di rami e grandi dimensioni.
Questi requisiti sono infatti finalizzati ad ottenere, in tempi relativamente brevi, assortimenti mercantili di discrete dimensioni e di buona qualità tecnologica.
Nelle nostre zone la castagna ha da sempre rappresentato, nella cultura dei nostri avi, un alimento indispensabile per la sopravvivenza di intere generazioni di montanari.
Il castagno, ha sfamato per secoli milioni di persone con i suoi frutti, in particolare poveri e bisognosi nei lunghi inverni montani e durante le carestia, nella sua storia ha sviluppato una vera e propria 'Civiltà del castagno', ricca di usi, costumi, tradizioni, statuti comunali, tecniche agronomiche, controllo dei boschi e del territorio.
Le prime specie coltivate si svilupparono nell'Asia Minore e si diffusero ben presto nella penisola ellenica da dove, giunsero in Italia.
Gli antichi Romani apprezzarono molto le castagne e diedero un contributo alla diffusione e coltivazione della specie, impiantando veri e propri castagneti da frutto in Italia.
Furono i conventi ed i monasteri, nei primi secoli del Medioevo, a preservare e diffondere la coltivazione del castagno.
In Italia il castagno, si sviluppò notevolmente fra l'XI ed il XV secolo.
Per molti anni la dieta alimentare delle popolazioni montane e rurali era rappresentata dalle castagne; la loro farina era un aiuto indispensabile, per la sopravvivenza di intere generazioni di montanari impossibilitati a consumare i cereali e la carne, in conseguenza di ciò, la coltivazione del castagno si intensificò ulteriormente.
Dopo la seconda guerra mondiale molti castagneti furono abbandonati e il patrimonio nazionale subì una notevole riduzione, questo abbondono potrebbe essere imputabile non solo al grande esodo dalle montagne alle città ma anche ad attacchi fitosanitari di due funghi patogeni che arrecarono danni ingenti ai castagneti, nello specifico il "mal d'inchiostro", causato dal fungo Phytophtora cambivora Petri (deve il nome alla coloritura delle radici e del fusto che attaccate prendono un colore nerobluastro).
 L'altra malattia il "cancro corticale" provocato da un altro fungo, Endothia parasitica Murr. And., agente del cancro della corteccia. In Italia, il castagno ha segni di ripresa produttiva e di un rinnovato interesse, non prima degli anni '80, se ne rivaluta l'importanza culinaria, le sue tradizioni, il suo ruolo nella difesa idrogeologica del suolo e della conservazione del paesaggio forestale autoctono.
L'intervento dell'uomo, non si limita alla pulizia del terreno sottostante il castagno, prima della raccolta dei suoi frutti, ma anche a sostituire le piante che muoiono, con nuove piante e nuovi innesti, alla potatura, quest'ultimo lavoro è riservato allo "scaccino", così è chiamato il potatore del grande albero.
Lo scaccino, si arrampica con agilità sul tronco del castagno fino ad arrivare sulla chioma, per poter tagliare i rami secchi, malati, o in eccedenza, è un lavoro pericoloso, tanti scaccini sono morti cadendo dai castagni, perchè quest'ultimi raggiungono altezze anche di 30 mt.
Ecco quindi che quando entriamo in un castagneto, dobbiamo farlo in punta di piedi e con il massimo rispetto, dando ascolto a tutti questi aspetti, possiamo soffermarci ad osservare un castagno e lui ci racconterà la sua storia e ci farà capire che la storia continua con la sua ombra, con i suoi frutti, con la sua aria pulita.
Conoscere la storia del castagno, permette di entrare in contatto con le energie sottili che queste piante secolari emanano, ci si rende anche conto di quanto un mondo così rude e selvaggio, sia in realtà legato ad equilibri naturali, complessi e fragilissimi che con pochissimo possiamo interrompere.
Una passeggiata nel castagneto ci dà modo di respirare la storia dei nostri avi, che ci hanno permesso, oggi, di raccogliere funghi e castagne, dobbiamo prendere atto che questo ambiente ha bisogno anche dell'uomo per poter continuare ad esistere, un uomo nuovo, che rispetti l'equilibrio del bosco.


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